Leroy, Richebourg 2005: inaspettato, indimenticabile.
Capita
che una cena tra amici con grandi vini, ma senza strafare, si trasformi in una
serata da fissare come pietra miliare della storia personale di assaggiatore e
appassionato di vino.
La
causa è un evento drammatico per un conservatore di vini scrupoloso come
l’amico Davide Cecio: si rompe il termostato della cantinetta ed alcune
bottiglie ghiacciano, cacciando fuori il tappo di sughero; ormai la
potenzialità d’evoluzione è pregiudicata, e non resta che berle. Ne è
derivato un assaggio che ha cambiato i punti di riferimento, che ha sconvolto i
criteri che un appassionato di vino e di Borgogna aveva prima di esso: il Richebourg 2005 del Domaine Leroy.
E’
stato il primo vero incontro con un vino di Madame Lalou Bize-Leroy, dopo aver
letto tante cose, essere stati in venerazione al cancello del Domaine a
Vosne-Romanée, aver visto in enoteche o in rete etichette inarrivabili. E che
vino! Uno dei gioielli del Domaine, in un millesimo tra i più grandi di sempre.
L’annata
è la 2005, celebratissima per i rossi della Côte
de Nuits, con potenziale evolutivo senza pari; il vino viene dal mitico Grand
Cru Richebourg, nel Comune di Vosne-Romanée, posto tra Romanée-Conti a Sud,
Romanée-Saint-Vivant a Est, Echezeaux ad Est e a Nord.
Nel
bicchiere, la veste è di un rosso rubino piuttosto concentrato e brillante. Il
naso è sontuoso, pieno ed ampio, con grafite, cenni di incenso, terra, cassis, sottobosco,
fresco e goloso, note anche balsamiche e di menta fresca; poi escono radici
aromatiche, sandalo, ma anche frutto rosso; evolve continuamente, verso sentori
anche floreali (rosa, viola). In bocca è eclatante, la struttura è immensa, potente,
ha tutte le componenti, integrate, all’ennesima potenza: il tannino, molto
giovane, è pura seta, il gusto è quasi salato, è freschissimo e soprattutto ha
una profondità trascinante; il finale pare non cedere mai, su ritorni continui
di spezie, grafite, frutti di bosco, terra.
Non
aveva i “due secoli di affinamento” che Fabio Rizzari, nel libro “Vini e terre
di Borgogna” (di Camillo Favaro e Giampaolo Gravina), ritiene necessari per
questo “mostro”, ma certamente ha suscitato un’indescrivibile emozione, ed il
ricordo rimarrà a lungo, indelebile, nella memoria e nei sensi di chi ha avuto
la fortuna di quest’assaggio.
Poco
prima, per lo stesso motivo, è “toccato” bere un altro grandissimo vino: Chateau Cheval Blanc 1985.
Un
vino aristocratico, elegantissimo: colore granato ma vivissimo, limpido, al
naso inizialmente prevalgono note di cenere, molto nette ed intriganti, poi
escono incenso, tè, sentori fruttati ancora presenti, di grande eleganza;
successivamente sentori agrumati, bergamotto, tabacco dolce; la bocca è
ficcante, molto sapida, quasi marina, il tannino è finissimo e presente anche
se sfumato; il finale è elegante, pulito e molto lungo, su sensazioni minerali
e cineree.
(2 marzo 2013 a Casa Amadei)